Errore sanitario, prova rafforzata a carico dei medici
Il professionista è tenuto a dimostrare di aver agito correttamente rispettando al contempo gli obblighi di informativa
Doppia prova a carico del medico accusato di inadempimento: deve dimostrare sia di avere assolto in modo esatto l’obbligazione sanitaria, sia di avere osservato i doveri informativi. Il paziente, infatti, deve solo provare l’esistenza del contratto e allegare un inadempimento qualificato, idoneo a produrre l’evento dannoso. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 24109 del 2013.
Ad aprire la questione, la citazione in giudizio promossa da una coppia, nei confronti di un istituto di ricovero dove la donna aveva partorito, con taglio cesareo, il suo terzo bambino. In quell’occasione i sanitari le consigliano di procedere alla sterilizzazione chirurgica per evitare altre e indesiderate gravidanze. La signora si sottopone all’intervento ma, a distanza di qualche mese, resta nuovamente incinta di due gemelli, dato che, dopo l’intervento, non ha adottato alcuna precauzione. Di qui l’azione per responsabilità medica, visto il disagio, anche economico, dovuto alla crescita della famiglia e alla decisione della donna, divenuta necessaria, di lasciare il lavoro.
La domanda viene respinta dai giudici di merito e la coppia fa quindi ricorso per Cassazione. I giudici di appello – si legge nel ricorso – hanno bocciato la pretesa ritenendo che la donna non abbia provato il contenuto dell’obbligazione. Ma in realtà, afferma il legale della donna, è a carico dei sanitari dimostrare che il danno era dipeso da un evento imprevisto e imprevedibile. È stato violato, inoltre, l’obbligo informativo circa la possibilità che la sterilizzazione potesse avere esito negativo.
La Cassazione concorda. Il mancato raggiungimento del risultato – spiega la Corte – determina l’inadempimento quando deriva da una «non diligente prestazione» o da una «colpevole omissione dell’attività sanitaria». Inoltre, «l’inadempimento (o l’inesatto adempimento) consiste nell’aver tenuto un comportamento non conforme alla diligenza richiesta, non solo con riguardo alla corretta esecuzione della prestazione sanitaria ma anche con riferimento a quei doveri di informazione e di avviso, definiti prodromici e integrativi dell’obbligo primario della prestazione».
Le ragioni dei coniugi, pertanto, sono fondate. Infatti, precisa la sentenza, rientra tra le comuni conoscenze di un ginecologo (ma non anche di una paziente) che la legatura delle tube eseguita in occasione di un parto cesareo non assicura l’irreversibilità della sterilizzazione. Di conseguenza, l’informativa dei sanitari non doveva esaurirsi in notizie generiche sull’operazione, ma doveva investire – visto l’obiettivo perseguito dalla donna – «i profili di incertezza» della sua definitività. Ai coniugi, invece, è stato fatto sottoscrivere un modulo nel quale sono stati informati «dell’irreversibilità del l’intervento». Un’informativa, afferma la Cassazione, non solo «inesatta» ma anche «fuorviante», tanto da «incidere in maniera determinante sul valido e corretto processo formativo della volontà» della coppia in relazione alla scelta del momento, e del contesto operatorio, in cui eseguire l’intervento.
Del resto, la Corte d’appello non ha accertato l’assolvimento del dovere d’informazione, ma si è limitata a sostenere che la notizia corretta sulla possibilità d’insuccesso «potrebbe esserci stata», senza chiarire però da quali elementi avesse tratto tale ipotesi e per quale ragione questi elementi avessero valenza probatoria. I giudici di legittimità cassano quindi la sentenza, con rinvio per un più approfondito esame del caso.