Il commercialista «paga» il dolo
Nello svolgimento della propria attività il commercialista si espone sia a responsabilità verso il cliente per la prestazione eseguita, sia alla commissione di violazioni tributarie e penali, in genere in concorso con il cliente stesso.
La responsabilità verso il cliente è delimitata dal dovere di diligenza da porre in essere nell’attività professionale. Inizialmente la giurisprudenza sia era quasi sempre espressa contro il professionista in presenza di palesi e grossolani errori: decorrenza dei termini nella proposizione del ricorso, presentazione della dichiarazione in ritardo, eccetera. Nell’ultimo periodo, invece, i giudici di legittimità sembrano ritenere che per determinare la violazione sia necessaria la volontà o comunque la consapevolezza del professionista. È il caso affrontato dalla Cassazione con la sentenza 9916/2010 la quale ha affermato la responsabilità del commercialista per aver appostato costi privi di documentazione o non inerenti nella dichiarazione, senza avere riscontrato la presenza della relativa documentazione.
In presenza di violazioni penali tributarie commesse dai clienti si pone, invece, la questione se possa ravvisarsi qualche responsabilità da parte del consulente in presenza di obblighi o comportamenti riconducibili al professionista stesso. Se infatti la maggior parte dei reati tributari sono di tipo proprio (contribuente obbligato nei confronti del fisco), chi si trova a svolgere funzioni di gestione e consulenza tributaria, in alcuni casi può concorrere (articolo 110 Codice penale), negli eventuali reati commessi dai clienti. Il professionista potrà essere chiamato a rispondere quando, con un proprio comportamento cosciente e volontario, abbia intenzionalmente dato un contributo causale, materiale o morale, alla realizzazione del reato commesso dal cliente; rimangono, quindi, escluse eventuali condotte colpose (errori materiali o concettuali dovuti a negligenza o imperizia). Ad esempio, la Cassazione (16958/2012) ha affermato che il contribuente risponde del reato di omessa dichiarazione Iva anche se la mancata trasmissione dei dati al fisco sia imputabile a negligenza del commercialista. Il professionista, da parte sua, non andrà incontro a responsabilità, neppure a titolo di concorso, in quanto la sua condotta non è sorretta dal dolo specifico. Ed ancora con la sentenza n. 175/2013, la Suprema corte ha specificato che la delega delle incombenze fiscali ad un commercialista non modifica il destinatario dell’obbligo, titolare della posizione di garanzia, che è il contribuente. Pertanto, il consulente non risponderà del reato di omesso versamento di ritenute certificate (articolo 10-bis Dlgs 74/00), qualora la sua condotta sia meramente colposa.
La giurisprudenza (Cassazione, 9916/2010) ha puntualizzato che il professionista può essere chiamato a rispondere in concorso solo se è riconoscibile un suo comportamento concreto nella realizzazione dell’illecito quale, ad esempio, la macchinazione insieme al cliente degli artifici e delle modalità di commissione del reato. In particolare, con la sentenza n. 24166/2011 la Corte ha confermato un sequestro preventivo sul patrimonio del commercialista che, suggerendo pratiche illegali ad alcuni clienti, era stato l’ideatore del meccanismo fraudolento di indebita compensazione (articolo 10-quater, Dlgs 74/00).
Da ultimo occorre segnalare che secondo la Suprema Corte (29873/13) risponde del reato di dichiarazione fraudolenta il commercialista che contabilizza nelle dichiarazioni del cliente, fatture che sapeva essere inesistenti in quanto emesse da un’impresa fittizia avente sede nel proprio studio. Per quanto concerne, infine, le violazioni commesse da società di capitali, secondo i giudici di merito (da ultimo Ctr Emilia Romagna sentenze 4,5,6,7/2013) la persona fisica e quindi anche il commercialista non può concorrere nelle sanzioni amministrative tributarie irrogate, soprattutto se non è provato che abbia tratto specifici benefici economici.